Qual è il rapporto tra la costruzione dell'autostima e il modo dei grandi di trattare i piccoli? Cosa NON è autostima?
Mi servo delle parole della Dott.ssa Stefania Andreoli per scrivere di un tema che rimbomba nella mia vita da tempo, ogni volta in vesti diverse.
Quando si è piccoli l'autostima dipende dalle figure adulte di riferimento e dal modo in cui queste ci guardano, ci osservano, ci parlano. Il loro "sguardo", inteso in senso lato, diventa automaticamente l'occhio attraverso il quale il piccolo guarda a sè e si inizia a percepire. Per questo l'autostima di ciascuno, in quegli anni, è una faccenda ampiamente nelle mani dei grandi che talvolta, ammettiamolo, faticano a gestirla. I motivi possono essere tanti, non siamo qui per spingere nessuno sul carro dei colpevoli, nè per dispensare consigli standardizzati.
Ma una cosa bisogna dirla ed un errore di fondo potrebbe forse essere evitato. Saper definire cosa sia l'autostima e cosa non sia, ma, soprattutto, come si possa permettere all'Altro di costruirla, è importante imparare a farlo.
A volte, negli adulti che si occupano della crescita di un piccolo, vi è instillata la convinzione che i complimenti e i famosi rinforzi positivi vadano offerti a piccole dosi, pena il rischio di trovarsi di fronte ad un futuro adulto presuntuoso e schifosamente convinto della propria grandezza. E' come se sia data per scontata e prescritta dai più bravi psicologi dello sviluppo l'equazione per cui i troppi complimenti conducano a diventare giovani spocchiosi e tracotanti.
Sì, la fazione è sempre la stessa del "uno schiaffo non ha mai fatto male a nessuno!", "alla fine siam cresciuti tutti bene e con dei sani valori".
Roba che non ci piace più, insomma.
Si tratta di un errore tanto banale, quanto diffuso. Il voler accostare due concetti ontologicamente diversi, appartenenti a domini che non riescono neppure a sfiorarsi. Poi, cosa ancor più grave, il volerli collegare attraverso una relazione di causa-effetto. Riconoscere ad un/a bambino/a un merito, esclamare "hai fatto proprio un bel gesto!" con entusiasmo autentico, sottolineare quello che di buono (e bello) possa aver pensato, agito, espresso comporta un solo rischio: dimostrare che io adulto ti vedo, ti stimo, sono felice di quel che sei, ti riservo uno spazio nella mia testa per averti guardato e averlo fatto con un occhio amorevole.
Un rischio che, evidentemente, non tutti purtroppo vogliono correre.
L'eccesso di belle parole pronunciate ad una persona che sta crescendo non conduce ad esiti spiacevoli.
L'eccesso di autostima, per di più, non esiste affatto. Un'altra convinzione ingenua riguarda proprio questo punto. E se, a furia di complimentarmi, l'ego del piccolo si allarga a dismisura sino a trasformarsi, nel tempo, in un adulto avaro e vanitoso? (E' questa la relazione di causa-effetto che ho citato in precedenza).
La risposta è un categorico NO.
Quel tipo antropologico di adulto lì, comprensibilmente anche piuttosto fastidioso da incontrare nella vita, tutto è tranne che una persona dotata di un'autostima eccessiva, mal dosata dai suoi caregiver durante l'infanzia. Al contrario, è un adulto che di autostima ne possiede in quantità piuttosto ridotte. E' una persona, questa, che ci dimostra con un tentativo non immediatamente traducibile, tutte le sue fragilità e debolezze.
Per concludere, non si abbia paura di far sentire l'altro amabile e "incontrabile" nelle sue parti belle e piacevolmente presenti, perchè questo può consentire di consegnare alla vita adulta persone consapevoli e con un buon senso del sè.
(Detto altrimenti, meno persone in terapia e disfunzionali nelle relazioni)